Judy, con Renée Zellweger nella parte di Judy Garland. Già The Aviator, pur essendo firmato da un grande regista, risultava insopportabile: venivano sguinzagliate in scena delle false Katharine Hepburn e Ava Gardner e avevano tutta l’aria di un insulto alla bellezza e al fascino. Di recente è molto piaciuta la serie Feud, sulla battaglia fra Bette Davis e Joan Crawford ai tempi di Che fine ha fatto Baby Jane. Le attrici erano encomiabili. Susan Sarandon (Davis) si adattava con gusto a certe marcate caratteristiche e manierismi della somma attrice senza imitarla platealmente; Jessica Lange (Crawford), con molti meno appigli dell’altra, abbandonava intelligentemente (inevitabili sopracciglioni a parte) qualsiasi velleità di “personificazione”, e faceva con stupendo trasporto il ruolo drammatico di una diva al tramonto più fragile della rivale. Però alla fine non si poteva non rimpiangere acutamente gli originali.
Qualche volta, in effetti, con i cantanti è andata meglio (solo, però, se “ridoppiati” da se stessi): Ray, su Ray Charles, doveva molto alla sorprendente prova drammatica del simpatico Jamie Foxx, e ancor più alla colonna sonora; La vie en rose aveva dalla sua il talento di Marion Cotillard, che faceva, è vero, una pura imitazione fisica di Edith Piaf, ma in questa imitazione metteva un’ossessività, una forsennatezza che la rendeva, a suo modo, grande. Poi ricordo un vero bellissimo film, Sweet Dreams, diretto da un maestro, Karel Reisz, sulla cantante country Patsy Kline, cui la geniale Jessica Lange prestava la sua affascinante persona.
Tutto è però più facile quando i personaggi da far rivivere non hanno interpretato film: voce a parte, la faccia di Edith Piaf il mondo la conosce in fotografia; Ray Charles per qualche concerto e apparizione sul piccolo schermo; Patsy Kline in Europa è più o meno una sconosciuta. Ma quando espressioni del volto, voce, gesti, modi di muoversi, di camminare, di ridere, di arrabbiarsi, di correre, di piangere, di schiaffeggiare e ricevere schiaffi, sono stati registrati in tutte le gamme e sfumature per sempre dal cinema, in decine di film, voler “rifare” è insano. E questo è il caso che riguarda l’indimenticabile Judy Garland.
Judy, che fra le interpreti “bianche” della canzone americana classica è stata la più grande, oltre che uno stile inconfondibile aveva un modo di rappresentarsi, di tenere la scena, in cui voce e corpo entravano in azione (e che azione!) all’unisono. Il modo di reggere le note e i fiati, di riallacciare i refrain, di arrivare al diapason era tutt’uno con le espressioni del volto, i gesti delle braccia, i passi decisi, combattivi, su e giù per il palcoscenico. Era una clamorosa esplosione fisica che non riguardava solo la voce, e che arrivava facilmente al pathos. E esprimeva una fondamentale integrità. Ecco perché l’imminente scissione della voce di Judy Garland (almeno, è sperabile) dal corpo di Judy Garland annuncia qualcosa di improponibile, ridicolo e piuttosto triste.
Anche perché quello che ho appena cercato di descrivere si può trovare facilmente nei suoi film (molte gemme e almeno un paio di capolavori) e sul web, benigno per una volta in quanto conserva per noi molte ore di suoi concerti e show televisivi.