Nelle settimane passate ho letto un libro, Renoir, mio padre di Jean Renoir. Il grande regista ricostruisce – ovviamente di prima mano – la vita del padre dall’infanzia alla morte con un’intensità, una libertà di pensiero, una capacità di trascorrere da un argomento all’altro senza disperdersi da fare di questo testo qualcosa di unico.
Colpisce fra le altre cose la divina fluidità del racconto, proprio quella fluidità che Jean R. perseguiva e raggiungeva nel cinema, in capolavori assoluti come, per citarne solo un paio, La Regola del Gioco e Il Fiume. Ma insomma, dopo anni di forzato assopimento mi si è riacutizzato violentemente il desiderio di poter pubblicare (almeno fra i dvd del Piacere del Cinema) un altro capolavoro di Renoir, La Carrozza d’oro, uscito nel 1953 e per quanto riguarda l’Italia sparito da allora (se non per antiche fugaci visioni clandestine in pessime copie) malgrado che oltretutto ne sia protagonista Anna Magnani. La ragione è che si trattò di una coproduzione italo-francese (la partecipazione italiana era della Panaria Film, fondata da Francesco Alliata di Villafranca con un gruppo di amici), e gli eredi dei produttori di allora non sono risultati rintracciabili nemmeno da parte di una grande società internazionale come la Beta Film (che detiene i diritti per il resto del mondo).
Questo dunque è a suo modo un appello: chiunque abbia notizie o fondati indizi sulla parte di proprietà italiana della Carrozza d’Oro si faccia vivo con noi, per favore. I nomi Renoir e Magnani basterebbero da soli a giustificare il recupero, ma aggiungo che questo è uno dei pochissimi film, se non l’unico, dedicato alla tradizione della nostra Commedia dell’arte. Si parla infatti (sulla scorta di una pièce di Mérimée) di una troupe di comici italiani del XVIII secolo in tournée in America del Sud. E in una città dominata dal vicerè spagnolo la prima attrice (Magnani) farà girare la testa a diversi pretendenti, fra cui lo stesso Vicerè. Cosa riesca a fare la Magnani di questa sua Camilla-Colombina, con quanto divertimento, malizia, leggerezza e rigore filologico, lo lascio immaginare. Poi c’è la sua leggendaria spontaneità: e qui lo stesso Renoir ci avverte che la versione autentica del film è quella girata in inglese, con l’attrice in presa diretta in una lingua imparata in fretta e furia. Inutile dire quanto sia magistrale l’uso del colore (il direttore della fotografia è Claude Renoir, nipote del regista) e quale sia l’incanto della messinscena. Si potrebbe andare avanti con una filza di aggettivi ma sarebbe superfluo.
Chiudo sottolineando che un’eventuale pubblicazione di questo film preziosissimo potrebbe essere accompagnata da alcune interviste (fra cui quella appena citata sulla Magnani) dalle quali escono in modo cristallino non solo l’intelligenza di Renoir ma la sua profonda simpatia, il suo spirito d’autentico umanista. Ragione di più per sperare anche che Adelphi, dopo Renoir, mio padre, pubblichi di Jean Ma vie et mes films, che ne è un seguito ideale, altrettanto affascinante e ricco.
Un estratto da La Carrozza d’oro (The Golden Coach)
diretto da Jean Renoir, con Anna Magnani, Odoardo Spadaro, Nada Fiorelli, Elena Altieri, William Tubbs