Torno brevemente su quanto scrivevo la settimana scorsa su questa pagina a proposito di fantasy e realismo e lo schiacciante predominio del primo genere. Domenica 15, sul supplemento del Sole-24 ore, trovo in apertura un articolo di Massimo Bucciantini su due saggi di Gerardo Tocchini, Arte e politica della cultura dei Lumi. Diderot, Rousseau e la critica dell’antico regime artistico, e Su Greuze e Rousseau. Politica delle élite, romanzo e committenza d’arte nella tarda età dei Lumi. Riassumendo molto, si tratta del fatto che l’ancien régime non si basava solo su una serie di intoccabili dogmi politici e religiosi ma “di gusti, di generi musicali, artistici, letterari”. Nel 1765 Diderot denuncia “la colossale fabbrica delle illusioni che anche le belle arti continuavano a diffondere”. Come nel mito della caverna di Platone, Diderot vede in sogno “una moltitudine incatenata dalla nascita in una caverna” costretta a guardare sempre il fondo della grotta, così volgendo le spalle al mondo reale. Sul fondo della grotta “al posto del teatrino di ombre descritto da Platone viene proiettato senza un attimo di sosta un grande spettacolo con tanto di effetti speciali proveniente da una gigantesca lanterna magica”. Suona familiare? Adesso che siamo alla post-verità, e dopo quella che si chiamava civiltà dell’immagine, difficile trovare una definizione più icastica e penetrante dei nostri tempi e del sistema in cui viviamo (sistema è un’altra parola ormai desueta, tramontata, o forse tramortita dal decreto globale sulla caduta delle ideologie, ma a me continua a sembrare più che pertinente – e da usare, se vogliamo ancora aver chiari i concetti di gabbia, libertà e sudditanza, individualità e appiattimento, o conformismo).
L’articolo prosegue citando le parole di fuoco di Diderot nonché dell’autore dei saggi su questa macchina dei sogni voluta dal Re e da tutti i suoi complici: “ministri, preti, e poi dottori, apostoli, teologi, profeti, politici, furfanti, ciarlatani, artefici d’illusioni e tutta la schiera dei mercanti di speranze e di timore” . Infine Bucciantini, ricordando che Diderot sentiva l’esigenza di un teatro nuovo, cita nuovamente le parole del filosofo francese: “un teatro che bandisse per sempre dalle scene… il sovrannaturale, il metafisico, il meraviglioso per dedicarsi unicamente all’uomo e al complesso delle sue responsabilità sociali”. Certo, a noi quel “per sempre” può sembrare eccessivo e poco dialettico, ma quando si ha la netta percezione che il meraviglioso e gli effetti speciali a getto continuo (pensando non solo al cinema ma alle tante serie tv fantasy e al colossale affare dei video-games e ai film tratti dai video-games – la sovrabbondanza di cui parlavo nel mio articolo precedente) siano emanazione diretta del Sistema di Rimbambimento, o di Potere, è logico che si voglia opporsi più o meno drasticamente. Un inizio sarebbe, almeno da parte degli intellettuali, il non prendere troppo sul serio l’aspetto dark degli ultimi Batman (chissà perché il dark si porta tanto e giustifica qualsiasi scemenza), la mitografia delle infinite Guerre Stellari (invece di ricordare che una franchise è una franchise è una franchise, cioè un’esclusiva, cioè business) e il pensiero filosofico dietro gli eroi Marvel (molto dietro): almeno non senza la mediazione di Sheldon Cooper e degli altri geniali nerds di The Big Bang Theory!
P.S.
Scusate se di nuovo cito il mio articolo della settimana passata, ma quando anche i fatti mi danno ragione non resisto! Dunque parlavo della perversa mania di edulcorare, addolcire e ingraziosire ogni cosa. E ieri faccio caso al sacchetto dello zucchero che ho in casa. La prima cosa che si legge, in alto in grandi caratteri a mo’ di nome o intestazione, è: NOTADOLCE (la seconda o a forma di cuoricino); sotto questa prima scritta si legge: IL CLASSICO, e subito sotto, in caratteri minuscoli, zucchero bianco (era ora!). Ma non è finita. Perché al centro dell’involucro campeggia un grande cuore rosso messo un po’ in obliquo, come se dondolasse nell’aere; e sotto ancora, con un’insistenza da maniaci: La dolcezza tradizionale. Ecco, quando si arriva a inzuccherare lo zucchero, come dire, siamo arrivati. Domani voglio proprio andare dal droghiere e chiedergli un chilo di Notadolce. Vediamo che mi risponde, vi farò sapere.