È ormai molto tempo che il cinema americano, col suo terribile e alquanto stucchevole super-potere, ci tratta per lo più da infanti, ed è innegabimente in gran parte riuscito nella sua opera di rimbecillimento planetario. I bambini-bambini sono sempre più spesso la buona scusa di milioni di adulti-bambini per andare a vedere, senza sensi di colpa, dei film che in altre epoche erano strettamente per i figli. Il fanciullino che è in noi (o per correttezza bisognerà ora scrivere fanciullino/fanciullina?) ha preso un sopravvento mostruoso, ovvero è dotato anche lui di mostruosi super-poteri. E la stessa operazione di “infantilizzazione” generale viene tentata da qualche tempo anche in letteratura con i cosiddetti graphic novels (che, in traduzione, si chiamano più modestamente romanzi illustrati, o a fumetti, a strisce, ecc, e che per qualità di disegno, lasciamo stare la scrittura, a una prima occhiata non sembrano eccellere).

Il discorso è vecchio e anche inutile, ma insomma, tanto per ricapitolare, i film americani da adulti (non per adulti!) si contano in una stagione in numero quattro/cinque, e in questo numero così esiguo vanno contate cose risapute come Spotlight , di sospetta se non losca superficialità come Room, o convenzionalissime come Joy (che personalmente mi ha tenuto in sala fino alla fine soltanto grazie alla fantastica Jennifer Lawrence).

 

Insomma bisogna adattarsi, e così, schivando attentamente i super-poteri, dopo l’assai grazioso Zootropolis c’è stata una bellissima sorpresa, Il Libro della Giungla (2016) della Disney, che lascia incantati e a occhi sgranati proprio come bimbi. Perché in effetti davanti a tanta immaginazione visiva e realizzazione tecnica mirabolante non si può che arrendersi, sbalorditi e beati. Chi aveva mai visto tanti magnifici e autentici esemplari di animali – un branco di lupi, una pantera nera, una tigre reale, un’anaconda, un orso bruno, più antilopi, bisonti, rinoceronti, ippopotami, pavoni, elefanti e centinaia di scimmie delle specie più diverse – interagire con la massima naturalezza e verità fra loro e con un bambino, il celebre Mowgli del libro di Kipling?

Il libro della giungla (film 1942)

Il libro della giungla (film 1942)

Il senso di meraviglia che si prova proprio davanti alle fiabe (la riscoperta del meraviglioso era la dominante anche del Racconto dei racconti di Matteo Garrone) qui è continuo. Il lavoro del computer, che dev’essere stato enorme, non si avverte più in alcun modo; e grazie al 3D, che ha finalmente raggiunto la vera profondità, tutto accade lì in quel momento, dentro la foresta, fra alberi enormi favolosamente ramificati che sembrano fantastici castelli, ideali per il Barone Rampante. Il regista Jon Favreau gioca con le proporzioni (cosa che mostra esplicitamente e giocosamente nei bellissimi titoli di coda), e così la pantera è il doppio del normale, il pitone ha spirali chilometriche, il feroce re delle scimmie è grande come King Kong.

Ovviamente davanti a tanto spettacolo non si ha nessuna voglia di chiedersi se sia rimasto alcunché dello spirito originario del libro; o se fosse più divertente il cartoon della stessa Disney del ’67, o magari la versione live-action, sempre Disney, del ’94, con gli animali ammaestrati. Questa versione è il massimo, nel senso che non lascia nulla a desiderare – o forse sì, si potrebbe volere un altro Mowgli, perché questo bambino è parecchio inespressivo e quando dà spiegazioni allarga le manine proprio come gli attori americani adulti di piccola statura (espressiva). Ma questa, in uno film così stupefacente, è davvero una quisquilia.

To Be Or Not To Be

To Be Or Not To Be

Per la cronaca va ricordato che la prima versione del libro di Kipling vide la luce nel 1942, e fu dovuta agli ungheresi fratelli Korda, il geniale produttore Alexander, il regista Zoltan, lo scenografo Vincent. I Korda operavano a Londra, ma nel ’40 fuggirono a Hollywood. Alexander, oltre a questo film, produsse in America Lady Hamilton (o That Hamilton Woman), con i meravigliosi Vivien Leigh e Laurence Olivier, nonché il capolavoro di Lubitsch To be or not to be. Purtroppo il Jungle Book inglese è caduto in pubblico dominio, e non essendoci nulla da guadagnare neanche le cineteche più chic hanno pensato di restaurarlo (stesso destino, purtroppo, per altri capolavori in technicolor del team Korda, come Il ladro di Bagdad e Le quattro piume).

Sempre per la cronaca va ricordato che Rudyard Kipling è, dopo W. Somerset Maugham, lo scrittore di lingua inglese forse più sfruttato da Hollywood. Oltre ai quattro film da The Jungle Book, si contano tre versioni di The light that failed (scusate, ignoro il titolo italiano); poi c’è Capitani coraggiosi, con il grande Spencer Tracy; Kim, bellissimo racconto indiano con un splendido Errol Flynn; Wee Willie Winkie, con Shirley Temple, diretto da quello che è probabilmente il padre del cinema, John Ford. E un altro gigante, John Huston, diresse L’uomo che volle farsi re, con Sean Connery e Michael Caine.

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